Sommario o abstract
| Umbratili come le presenze dell'Erebo evocate nel verso omerico che dà il titolo al libro, le raffigurazioni si lasciano cogliere da noi attraverso una duplice operazione: vediamo, ossia percepiamo una consistenza fenomenica, e insieme immaginiamo, abbandonandoci a un viluppo ludico-narrativo. Paolo Spinicci si incarica di tracciare il sottile confine che distingue, nelle immagini fuori di noi che vengono designate dal concetto di raffigurazione, la dimensione percettiva da quella immaginativa. È dai ranghi filosofici che prende la parola, per restituire alle raffigurazioni uno statuto svincolato dalla concezione linguistica e convenzionalistica in cui troppo a lungo sono rimaste impaniate, e rimettere in onore proprio il vedere senza sapere. L'assunto è che esse non siano delle parole visive che stanno per qualcos'altro, bensì oggetti percettivi che costruiscono e interpellano attraverso la loro profondità apparente. Fenomenologia della percezione e pragmatica sono ugualmente implicate nell'atto di guardare, al punto da delimitarne le condizioni di possibilità. Il dispositivo culturale complesso a cui appartiene l'immagine funziona in virtù della dialogicità che si instaura quando una scena raffigurata si rivolge allo spettatore e lo invita a una drammatizzazione immaginativa che conserva il battito delle cose reali. |